Approccio nutrizionale alla malattia di Hashimoto
28 Ott 2022 - Resta informato
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La tiroide è una ghiandola che si trova nella regione anteriore del collo, deputata alla produzione di ormoni molto importanti per il nostro organismo, che regolano l’utilizzo dell’energia e quindi il metabolismo.
A livello neuroendocrino fa parte dell’asse ipotalamo – ipofisi – tiroide, così chiamato in quanto questi 3 organi producono ormoni che agiscono in maniera sequenziale gli uni sugli altri.
In particolare, dietro stimolo ipofisario, rappresentato dal rilascio dell’ormone TSH, la tiroide produce gli ormoni tiroidei. Vengono prodotte maggiori quantità dell’ormone Tiroxina (T4), che pur non avendo importante attività biologica, verrà convertito ad opera di specifici enzimi nell’ormone Triiodotironina (T3), dotato della massima attività biologica. T4 difatti rappresenta il precursore di T3, ed è importante indagare su tutti e 3 gli ormoni appena citati per valutare la funzionalità tiroidea.
Questa breve premessa era necessaria per poter descrivere lo squilibrio ormonale alla base della malattia di Hashimoto, i suoi segni e sintomi, e il successivo approccio nutrizionale.
La tiroidite di 𝗛𝗮𝘀𝗵𝗶𝗺𝗼𝘁𝗼 è una delle patologie che colpiscono la tiroide e fa parte della famiglia delle Tiroiditi Croniche Autoimmuni. In quanto malattia autoimmune, il difetto risiede nel sistema immunitario il quale non riconosce più la tiroide come un costituente normale dell’organismo e inizia a produrre anticorpi diretti proprio contro la tiroide, per distruggerla.
Si innesca un processo infiammatorio autoimmune, con la produzione di anticorpi di cui è possibile il dosaggio ai fini di diagnosi della malattia. Questi sono anticorpi anti-perossidasi (Anti-TPO) e anti-tireoglobulina (Anti-TG), più raramente anti-TSH-recettore stimolanti (TSHRAb), che attaccano la tiroide con graduale e progressiva distruzione dei follicoli e conseguente ipofunzione tiroidea irreversibile, motivo per il quale la tiroidite di Hashimoto è la causa più frequente di 𝗶𝗽𝗼𝘁𝗶𝗿𝗼𝗶𝗱𝗶𝘀𝗺𝗼.
Può manifestarsi a tutte le età e in entrambi i sessi, anche se colpisce prevalentemente le donne (circa 9 casi su 10).
La progressione verso l’ipotiroidismo clinico è lenta; infatti nelle fasi iniziali i valori ormonali sono nella norma e non si hanno sintomi particolari. Solo quando il danno è avanzato, i livelli ormonali risultano alterati e i sintomi appaiono sempre più evidenti, come:
- stanchezza, depressione, ansia
- aumento di peso e difficoltà nel perdere peso
- freddolosità, crampi muscolari, dolori articolari
- pelle secca, caduta dei capelli
- aumento del rischio cardiovascolare
Tutto questo ha sicuramente un impatto notevole sulla persona, tale da risentirne soprattutto a livello psicologico. E’ importante in questa fase ridurre lo stress, generato da fattori ambientali e stili di vita inadeguati, magari seguendo percorsi che abbinano movimento a rilassamento, come lo yoga.
Anche le abitudini e scelte alimentari dovranno essere modificate; certo, essendo Hashimoto una patologia su base autoimmunitaria, l’approccio dietoterapico non comporta il ripristino della normale funzionalità tiroidea, ma migliora i sintomi, evita il peggioramento dei livelli ormonali, apportando un benessere generale.
Il protocollo dietetico prevede in prima battuta l’eliminazione di alcune categorie di alimenti, in quanto contenenti sostanze antinutrienti e pro-infiammatorie che vanno ad accentuare lo stato di flogosi dell’organismo; in particolare alimenti contenenti:
- glutine (presente in frumento, farro, segale, avena, kamut, ecc.)
- caseine (presenti in latte e derivati)
- lectine e saponine (presenti in tutti i legumi, in quinoa e amaranto)
- solanina (patate, pomodori, peperoni, melanzane)
- fitati (presenti in frutta secca e oleosa, legumi, grano saraceno)
- bevande alcoliche ed eccitanti
Tuttavia l’eliminazione deve essere personalizzata, perché dipende dallo stato fisiopatologico del paziente e soprattutto la dieta deve essere adattata al paziente. Questo è il motivo per il quale ripeto sempre che è necessario rivolgersi solo a professionisti, senza intraprendere diete “fai da te” che andrebbero a peggiorare la sintomatologia oltre che indurre carenze nutrizionali.
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